Todi

1.

Tutto comincia dalla Consolazione, l’unica vera emergenza fuori della triplice cerchia muraria, molto più di Montesanto, per non parlare dei Capuccini o del Santissimo Crocefisso. E’ elemento di attrazione perché visibile quasi dovunque, sovrastato solo dal campanile di San Fortunato che però è ancora lontano, mentre la Consolazione è un contrapporsi di pieni, di volumi, di coperture a nascondere un grande vuoto interno, che niente può riempire, né arredi né strutture, ma neanche la luce, forse la fede. Ma questo è per chi la possiede.

Se ne esce inquieti, non appagati e come svuotati e la piana lastricata davanti invita ad allontanarsi, senza cimentarsi ancora con salite e scollamenti, giustificati dal torracchione superstite delle mura e dalla vista di un portale in fondo ad una breve corsa di lecci.

Via di Pozzo Beccaro è bella per questo nome suggestivo e perché introduce subito nella griglia medievale della città.

E’ quasi subito salita e la tentazione rappresentata dalla facciata della chiesa di San Giorgio, giù in basso è forte, ma altrettanto fascinoso è il nome della strada che arranca il colle: via di Porta Aurea. Le case che la costeggiano sono alte e ben fatte, compresa una sulla destra che sopperisce con una piccola fronte ed alcuni fregi gentili alle necessità di equilibrarsi su un vero precipitare. La porta, anche se aurea, è una delusione ma non lo è, anzi è una piacevole sorpresa, la via di Mezzo Muro, che se ne discosta sulla destra per aggirare il fronte del secondo cerchio delle mura, con un lungo terrazzamento che sovrasta orti e costruzioni ed è sovrastato dalla cortina di travertino. La vista sulle colline circostanti è amplissima e luminosa.

2.

La Porta della Catena è un altro accesso nel secondo cerchio delle mura ed apre anch’essa un altro lungo corridoio che sale il colle, con sopra ad incombere altre case e palazzi di pietra. Poco dopo, a sinistra, quale via di fuga ad un traffico d’auto ossessivo, l’apertura ampia e anonima del vicolo di Sant’Antonio concede un minuto di pace in una corte interna, protetta da un piccolo ma gentile affresco ormai rovinato, prima di sboccare con facili scalette in via di Santa Maria in Camucia. Meno auto e bei palazzi, con portali e finestre architravate e, a destra, un cortile permette di cogliere l’altissima e incombente cortina di mura. E’ il primo cerchio, ormai umbro e forse etrusco. La chiesa, poco oltre, rivela una facciata squadrata e asimmetrica, come sghemba nei confronti della piazzetta prospiciente, lastricata di pietre irregolari e slivellata rispetto alla via.

Il ritorno a via Cavour è d’obbligo, se non altro per non precipitare di nuovo verso il basso del colle ma, quasi immediatamente, via del Mercato Vecchio è una nuova via di fuga dal traffico. Si è in piano, perché la strada segue una curva di livello e la città è ancora in gran parte sopra la testa e a contenerla, a un certo punto, c’è una grande muraglia di sostruzione, ingentilita da una trabeazione geometrica, ma soprattutto da enormi nicchioni di epoca romana, a rappresentare la più antica imponenza di Todi.

Peccato che sotto vi sia un parcheggio. Era sicuramente meglio il mercato. Altri tempi.

3.

Una breve discesa e ancora la sorpresa di S.Ilario, una chiesa antica stretta tra bei palazzi, a ricercare in alto la luce con il prolungamento del campanile a vela, come fosse un albero in una foresta. Pochi passi ancora e la Fonte di Scarnabecco propone la civiltà del medioevo, fatta anche di opere pubbliche, per di più eleganti. E’ ormai pieno silenzio, rotto da poche auto o qualche motorino, anche perché qui pochi sembrano gli abitanti, nonostante le case e i portoni dei fondi e delle botteghe. E’ sempre un quartiere fatto di vicoli, dopo la via Cesia o della Piana, di nuovo a precipitare in basso o arrancare in alto. E’ questione di gusti e di gambe.

La via di Santa Prassede attira in basso per una successione di archi, a collegamenti di stanze e servizi aerei, non a sovrastare porte di difesa o di separazione o di gabella.

E’ una zona ancora antica, nonostante il nome di Borgo Nuovo, quasi aspra, soprattutto per la mancanza di negozi e botteghe ma non di conventi, con ingressi ombrosi, bussole misteriose e fitte grate per colloqui appena sussurrati. Uno di essi attira sulla destra e poco oltre, aggirando le curve a gomito dei vicoli, si raggiunge il Largo del Bastione, una piazza alberata sulle mura, che sembra il luogo di una festa che non c’è. C’è ancora la vista amplissima ed in basso l’Istituto Agrario.

4.

La cortina muraria fuori porta Perugina separa ancora nettamente il tessuto urbano dalla campagna, che immediatamente dopo è scondiscimenti verdi, erbosi, alberati. Né case e neanche orti. Sembra ancora una terra di nessuno. La strada, una vera e propria circonvallazione, ne segue alla larga i confini e permette di cogliere i grappoli di case fino al Nido dell’Aquila, dove il rapace sollevò la coperta di Tudero. La cortina medioevale, all’inizio bassa e anche sbrecciata, ha ormai lasciato il passo a numerose file sovrapposte e regolari di pietre etrusche, su cui la città si è come arroccata, anche se in un consolidamento precario, perché ripetutamente minacciato dalle frane e dagli smottamenti del colle.

A prevenzione di tutto ciò fu praticata, in tempi antichi, una ferita tra le pietre, che ancora alimenta la fonte appoggiata alle mura, per offrire la possibilità alle acque interne di liberarsi, spurgando la città.

Ciò non ha impedito il precipitare anche di torrioni, ancora visibili, anche se ricoperte di macchia e per questo cantieri moderni hanno aggiunto altre tecniche e procedure. Ma non sono reperti interessanti ed è quasi naturale raccogliere l’invito di un sentiero che, con scalini di legno, risale bruscamente il colle e le mura.

Al toppo, la vista, anche se pregiudicata dall’ansimare, è vasta e rimanda in primo piano al convento di Montesanto.

Si guarda la valle del Tevere con gli occhi del Marte di Todi.

5.

Via Termoli è di fatto il camminamento delle mura etrusche e affacciandosi si coglie tutto il mondo intorno, compresa la prospettiva del Nido dell’Aquila, ma quello che più colpisce è il silenzio quasi assoluto, quasi fosse un quartiere abbandonato. Eppure si percepisce la vita se non altro per un gatto o la musica da una finestra, ma è difficile l’incontro di gente se non il ritorno solitario di un abitante. Sembra comunque che vi si nascondano attrici bellissime e famose.

La via del Monte è una salita, anche a scalinate, che fa tornanti e giravolte e che guadagna sempre più silenzio, anche quando spiana in una piazzetta con un piccolo pozzo medioevale e in un vicolo stretto, che sembra finire lì ed invece è l’esplodere di Piazza del Popolo.

E’ un’eruzione di spazio, di volumi, di architetture, di luci, di gente, di voci. Ci sono anche le auto, padrone solo di un pezzo della piazza.

La città sembra tutta lì, gli scambi di idee e di merci, l’acquisto di beni e servizi, la comunicazione e l’informazione sembrano ancora concentrati in quello spazio civile dove l’aquila è onnipresente, quasi a sorvegliare più che a rappresentare. Ma si sa che non è più così, tutto si è dilatato ben oltre la triplice cerchia di mura e ben oltre il contado tuderte, in una dimensione non solo più vasta ma neanche più reale. Seduti sulle scale del Duomo o su quelle del Comune o sui tavolini del caffè si cerca di percepire una qualche ostentazione sociale, un rituale di corteggiamento, una mediazione mercantile, la socializzazione discreta di segreti e confidenze o una discussione politica, ma si percepiscono solo le figure umane, rimanendo indecifrabili i comportamenti, quasi fossero tutt’uno, ormai, con le pietre armoniosamente collocate nella scenografia bellissima della piazza.

Ci si può abbandonare così a fantasticherie, ad immaginare situazioni ed eventi, ci si può concedere alla nostalgia. Tutto è possibile e gratuito.

Una parte della Piazza del Popolo attira i malinconici e i solitari ed è per questo quella più lontana dalla zona maggiormente luminosa e frequentata. Attraverso una grande apertura sul lato meridionale, oltre il Duomo, sembra offrirsi una nuova prospettiva della città, ancora in piano e ancora nobilitata da palazzi e decorazioni, ma se non si scende di nuovo a valle del colle e si raggiunge il Palazzo del Vignola, troppo stretta la strada per coglierne le caratteristiche e troppo recente la tragedia che ancora vi incombe, ci si trova improvvisamente in un vicolo cieco. La città non continua, non ha uscita, i palazzi fanno muro e si propongono come le strutture e gli arredi delle quinte di dietro la scena. Ci sono solo alcuni vicoli, come uscite di sicurezza, a garantire una via di fuga. Si deve tornare alla scena della Piazza.

Ma c’è ancora una possibile diversione, sulla sinistra, in via di San Lorenzo, per ritrovare un silenzio e una solitudine improvvisa, a pochi metri dal via vai e dalle chiacchiere. E’ un vicolo in ombra, senza enfasi architettoniche, essendo il retro dei grandi palazzi pubblici, anche se fanno meraviglia due chiese, una sbarrata come da secoli, con la sua veste di pieve di campagna, dove la graticola sbiadita, disegnata su una lunetta, testimonia il martirio di San Lorenzo e un’altra, San Bonaventura, aperta ai fedeli, in sussidio forse di altre chiese più importanti, ma sicuramente più favorevole ad un colloquio intimo con Dio. Poco oltre si riaffaccia la mondanità con il ristorante l’Umbria, famoso per la sua terrazza e le palombe cucinate alla todina.

7.

I Voltoni, nonostante le lapidi altisonanti, hanno perso da tempo la loro funzione di raccolta sociale e di discussione, solo una pioggia improvvisa costringe qualcuno a ripararvisi, per il resto sono una testimonianza muta, e sembra anche sporca, di un lontano passato medioevale.

La vicina piazza Garibaldi offre invece alla vista la possibilità di spaziare da un altro parapetto e di cogliere la grandiosità di un cipresso, che sembra essere il vero monumento all’Eroe dei Due Mondi, ben più solenne di quello in pietra.

Corso Cavour è il concentrato dei negozi della città e quindi è il massimo di frequentazione sociale e solo come per un miracolo lo slargo davanti alla Fonte Cesia è interdetto alle auto e questo permette di guardarsi intorno con calma, per cogliere antiche mostre commerciali, i particolari dei palazzi ed anche la Fonte, che non è bellissima, ma è attraente per la successione di quinte scenografiche che coinvolge in alto l’hotel omonimo.

Porta Marzia, poco sotto, è un varco al rinserrarsi delle case e la si coglie meglio salendo sulla sua destra, per osservare, al suo livello, la bella balconata di pietra che la ingentilisce e, andando oltre, nonostante sembri inutile perché tutto invisibile, un succedersi di slarghi e piazzette scopre una facciata di chiesa misteriosa e un giardino nascosto, fino al rettilineo della lunga e stretta via scalinata di San Fortunato.

Le case ai lati sono altissime e i cornicioni coprono il cielo e per ammirarlo di nuovo bisogna raggiungere la bella chiesa gotica, la cui facciata, anche se incompiuta, spiraleggia verso l’alto, fronteggiando la città e rubandole tutta la luce. La sfida non è diretta, perché la contrapposizione non condivide né piazza né vie e il Palazzo del Popolo, del Capitano e lo stesso Duomo sono invisibili da qui, ma si capisce che si è più in alto, si domina tutto e tutti, anche i colli vicini, avendo alle spalle  anche quel potente pinnacolo, onnipresente, visibile ovunque, con in cima, a volare altissima, l’aquila di bronzo.

8.

Sulla piazzetta Pignattara prospetta il fianco possente di San Fortunato ma anche le facciate affrescate di case patrizie e l’ingresso del Liceo, silenzioso e cupo anche nel suo chiostro interno, ombroso per gli archi abbassati, ad evocare lo studio, la meditazione, la severità di Jacopone, a cui è intitolata la scuola.

Si è in cima al colle di Todi e sopra il torrione cilindrico superstite della Rocca c’è solo il cielo e intorno un fitto bosco che copre anche tutto il versante occidentale, solcato da vie e sentieri.

Si può e si deve scendere ormai e, seguendo una viale in piano, dopo aver gettato più di uno sguardo alla cupola della Consolazione da un terrazzino a picco sul basso, si raggiungono di nuovo le muraglie di sostegno del complesso del Liceo.

Sembrerebbe gioco forza il ritorno a San Fortunato, ma, sulla destra, l’arco ormai inutile di Porta Libera attira l’attenzione e trascina i passi verso una ripidissima scalinata in pietre e mattoni sconnessi che, con strettissime giravolte, attraversa orti olivati e poi raggiunge le case arroccate intorno a Porta Aurea. Si può seguire adesso l’invito a scendere nella via di Porta Fratta, che si allarga e si riempie di luce fino al varco medioevale.

Sulla sinistra un lungo terrazzamento sulle mura permette di continuare con una piacevole passeggiata, tranquilla per il silenzio e la pace, evocata anche da una moderna urbanizzazione che, senza violenza eccessiva, ha riempito lo spazio tra le due cinte murarie.

Non ci sono emergenze significative, neanche quando si risale a Via Matteotti e solo all’altezza dell’Ospedale, imboccando a destra via delle Canepine si raggiungono i ruderi dell’anfiteatro romano, oggi un anello di pietre conglomerate su cui si sono inerpicate mura, case e strade. All’interno della cavea l’edificio di San Nicolò de Criptis ostenta anch’esso sopraffazioni, privato com’è del campanile a vela e del rosone, avendo acquisito però tutto il fascino dei ruderi che permettono la lettura delle loro mutilazioni. Tutto da decifrare anche l’anfiteatro che si segue per un tratto, di nuovo fino all’Ospedale, per poi ritrovarlo, fuori Porta Romana, a fare da basamento alla moderna strada di circonvallazione.

E’ questa che si può imboccare, nonostante sia faticosamente praticabile dai pedoni ed allora, prima per una vista d’insieme a partire dal campanile di San Fortunato per scendere giù il fianco del colle ancora pieno di case, tetti e ancora campanili e poi per una successione delle mura, ancora turrite e bordate da alberi di alto fusto, che si materializza una fantasia, suggerita anche dalla presenza, a sinistra della strada, di ampi spazi verdi pieni di olivi: quella di uno stradone bianco, a bordeggiare le mura, al posto dell’asfalto e delle auto, pieno magari di gente, una passeggiata fuori porta, da Porta Romana alla Consolazione, il traffico deviato più in basso, ma tutto questo non è possibile, forse non è neanche giusto, perché vorrebbe una città senza vita, un museo non contaminato, non una città reale da vivere e da contraddire, però è una bella fantasia e con quella in testa si possono di nuovo raggiungere i vuoti e i pieni della Consolazione.

12 gennaio 1998.

 

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*